giovedì 4 giugno 2015

Giovanni Pascoli



La vita                                                
Giovanni Pascoli nasce nel 1855  a San Mauro di Romagna, e compie i primi studi a Urbino. Il 10 agosto del 1867, il padre Ruggero viene ucciso; dopo questo evento si susseguono altri lutti familiari. Nel 1873, grazie ad una borsa di studio, frequenta la facoltà di lettere all’Università di Bologna, dove è allievo di Giosuè Carducci. Sempre a Bologna aderisce al movimento socialista. Si laurea nel 1882 e nel 1891 pubblica la prima edizione di Myricae, la sua prima raccolta di poesie. Nel 1895 si trasferisce a Castelvecchio, dove muore nel 1912. Cerca di ricreare un “nido” dove riunire la famiglia perché, dopo la morte del padre, si era attaccato alla famiglia in modo morboso. Muore a Bologna nel 1912.                                                                                             
Pascoli apparteneva al movimento culturale del Decadentismo, che si è sviluppato in Francia negli ultimi anni dell’Ottocento. Questo movimento rifiutava la razionalità scientifica del positivismo ed esaltava il simbolismo, il panismo e gli stati alterati della realtà.

Le opere                                                                                                                                                      
La prima opera in versi è la raccolta Myircae, in cui il poeta descrive le situazioni quotidiane. Poi seguono i Poemetti (1897) che vengono successivamente divisi in Primi Poemetti (1904) dedicati alla madre, e Nuovi Poemetti (1909) nei quali parla della solidarietà degli uomini. Nelle sue ultime opere affronta le tematiche di attualità sociale come ne La Grande Proletaria si è mossa.

I temi e lo stile

Nel 1897 Pascoli pubblica il saggio Il Fanciullino, dove afferma che ogni poeta deve osservare il mondo con lo sguardo incantato dei bambini che si meravigliano di tutto e intuiscono i legami nascosti. Nei suoi componimenti descrive gli aspetti comuni di cui coglie gli elementi misteriosi, e quindi l’umile lavoro nei campi si trasforma in un simbolo che ricorda il mondo perduto del nucleo familiare. Segue le regole della metrica tradizionale, dando molta musicalità ad ogni singola parola.

Ivan Lenoci

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