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Non spero nulla Non temo nulla Sono libero lapide di Nikos Kazantzakis, autore di Zorba il Greco, Creta |
Un dì, s’io non andrò sempre fuggendo
di gente in gente, mi vedrai seduto
su la tua pietra, o fratel mio, gemendo
il fior de’ tuoi gentili anni caduto:
La madre or sol, suo dì tardo traendo,
parla di me col tuo cenere muto:
ma io deluse a voi le palme tendo;
se da lunge i miei tetti saluto,
sento gli avversi Numi, e le secrete
cure che al viver tuo furon tempesta;
e prego anch’io nel tuo porto quiete:
Questo di tanta speme oggi mi resta!
Straniere genti, l’ossa mie rendete
allora al petto della madre mesta.
1) Localizzazione
Si tratta di uno dei sonetti “maggiori” del poeta Ugo Foscolo (1778-1827), scritto nel 1802 e aggiunto nel 1803 alla raccolta Poesie (che conteneva otto sonetti “minori” e l’ode A Luigia Pallavicini caduta da cavallo). Dalla personalità inquieta e ricca di contrasti, Foscolo fonde letteratura e vita diventando l’interprete più rappresentativo della travagliata età a cavallo di due secoli (XVIII-XIX), epoca di passaggio tra la civiltà dei lumi e quella romantica e tra Neoclassicismo e Preromanticismo. Oltre alla sua produzione poetica si ricorda il romanzo epistolare Le ultime lettere di Jacopo Ortis.
2) Tema e struttura
Il sonetto è costruito sull’opposizione di due motivi fondamentali: da un lato, l’esilio, dall’altro, la tomba. Il tema dell’esilio non ha soltanto un significato letterale, ma indica anche lo sradicamento e la precarietà che è storica e esistenziale assieme. Foscolo costruisce, così, il proprio mito romantico dell’eroe sventurato a cui il momento storico negativo non consente di avere una patria, un ruolo sociale o una famiglia che lo conforti. Nella prima terzina entrano in gioco, nuovamente, gli “avversi Numi” che perseguitano l’eroe.
In opposizione a questo tema si situa quello della tomba, identificato con la madre, che è anche, nella sua condizione di poeta esule, la terra natale. Ma il ritorno, diversamente dalla storia narrata nell’Odissea, è impossibile: parafrasando Dante, più che l’amor poté l’esilio.
La struttura di questo sonetto, così ricco di significato, è circolare: nelle prime tre strofe si alternano i temi dell’esilio, della tomba del fratello, della madre e, nuovamente, dell’esilio. Ecco perché il ricongiungimento familiare è impossibile: perché lo annulla l’esilio. Per sbloccare la situazione del sonetto alla terza strofa entra in gioco la morte che non è qui, come in Alla sera, illacrimata, ma che vedrà un futuro ricongiungimento della famiglia. In questo sonetto, così denso e legato, la morte è un’immagine positiva, un’illusione di sopravvivenza e una mitica identificazione con la madre, con la terra, con il suo vero Io.
3) Stile letterario
Si tratta di un sonetto, cioè un poema composto da quattordici versi endecasillabi, divisi in due quartine e due terzine, con schema di rime ABAB ABAB CDC DCD.
Dal punto di vista fonetico si può notare la presenza di molte consonanti “S”, nella loro versione sonora (S’io, sempre, seduto, su, sol, suo, deluse, se, sento, secrete, tempesta, questo, speme, resta, straniere, l’ossa, mesta) - è una consonante sfuggevole e musicale, che ricorda il sibilare del serpente, il sussurro di una voce da lontano, e simboleggia, a parer mio, il viaggio del ricordo e del pensiero del poeta, dall’esilio fino alla tomba del fratello.
Dal punto di vista morfologico notiamo che, su 15 verbi, 10 sono all’indicativo, che è il modo della realtà: due al futuro (andrò, vedrai), sette al presente (parla, tendo, saluto, sento, prego, resta, rendete), solo uno passato (furon); ciò significa che si tratta di un poema quasi interamente focalizzato sul momento presente. I restanti cinque verbi sono nei modi indefiniti, tre al gerundio (fuggendo, gemendo, traendo) e due al participio (seduto, caduto).
Dal punto di vista sintattico, come siamo soliti nel Foscolo, gli enjambements spezzano la struttura della frase a favore della musicalità e del legato nel verso.
Dal punto di vista metrico il testo è ricco di metafore e metonimie
4) Valutazione
Dolce e bellissima poesia che abbraccia in quattordici versi i grandi temi della letteratura foscoliana, A Zacinto rimane per sempre nella memoria dei lettori di ogni tempo come i colori dell’isola che diede i natali al poeta. Imbevuto di nostalgia dolce come il miele di Grecia e amara come l’esilio, Foscolo tiene nelle sue mani entrambe le colonne della cultura europea sua contemporanea: la classicità e il Romanticismo.
LB