domenica 14 giugno 2015

Benvenuti su LetterAltura!




Benvenuti, 3F!


In questo blog troverete le analisi testuali e gli approfondimenti di ciò che studieremo in classe, nel caso in cui vi siate persi qualcosa. 

Ho scelto (prendendolo in prestito ad un festival realmente esistente) il nome letterAltura perché vorrei che ciò che leggiamo, studiamo e amiamo servisse proprio a questo: ad elevarci, a farci vedere le cose da un altro punto di vista e a non farci smarrire né la capacità di trovare il nostro cammino né quella di godere della bellezza del paesaggio. Come si suol dire, uniamo l'utile al dilettevole.



Buon lavoro e buona lettura!


ps: Questo messaggio risale a ottobre. Ora che siamo a giugno e che tutto è finito e tutto sta per cominciare, spero che il nostro viaggio nel mondo della letteratura vi sia piaciuto. Se, però, così non fosse, sappiate che non è stato fatto apposta ;)


Ugo Foscolo



Nasce a Zante (un’isola greca sotto il dominio di Venezia) nel 1778. Nel 1793 si trasferisce a  Venezia dove studia greco e latino e dove entra in contatto con intellettuali aperti alle idee della rivoluzione francese.
Foscolo vive nell’età napoleonica e fin da piccolo si entusiasma per gli ideali rivoluzionari. Nel 1797, quando Napoleone pone fine al trattato di Campoformio, Foscolo, disilluso, va a Milano e poi a Bologna dove lavora a Le ultime lettere di Jacopo Ortis (1798). È  la sua opera più importante, la cui prima parte viene pubblicata nel 1802. In essa, il protagonista esprime il proprio entusiasmo nei confronti di Napoleone e la successiva delusione per il suo tradimento che, insieme all’amore impossibile per una donna, lo spingono al suicidio.
Nel 1801 intraprende la carriera militare e segue in Francia le armate napoleoniche. Si trasferisce poi a Milano dove risiede fino al 1812, e a Firenze.
Nel 1814 scappa dall’Italia a causa degli Austriaci  e si rifugia prima in Svizzera  e poi in Inghilterra.
Muore a Londra il 10 settembre 1827 a 49 anni. È sepolto a Santa Croce, a Firenze.


Altre opere importanti di Foscolo sono: le Odi, composte tra il 1799 e il 1802, i Sonetti, la cui edizione definitiva esce il 1803, il carme Dei Sepolcri ( 1807 ) e l’inno incompiuto Le Grazie (1813).

Matteo Servetti

Ugo Foscolo - A Zacinto



Né più mai toccherò le sacre sponde
ove il mio corpo fanciulletto giacque,
Zacinto mia, che te specchi nell'onde
del greco mar da cui vergine nacque

Venere, e fea quelle isole feconde
col suo primo sorriso, onde non tacque
le tue limpide nubi e le tue fronde
l'inclito verso di colui che l'acque

cantò fatali, ed il diverso esiglio
per cui bello di fama e di sventura
baciò la sua petrosa Itaca Ulisse.

Tu non altro che il canto avrai del figlio,
o materna mia terra; a noi prescrisse
il fato illacrimata sepoltura.


1) Localizzazione: inserisci qui da dove è tratto il testo; parla anche dell’autore e del movimento letterario nel quale è collocato (trovi tutto sull’antologia).
A Zacinto è uno dei più importanti sonetti di Ugo Foscolo (1778-1827), poeta italo-greco a cavallo tra il classicismo e il preromanticismo. Altra sua opera famosa è il romanzo epistolare “Le ultime lettere di Jacopo Ortis”.

2) Tema e struttura: qual è il tema principale? in che parti del poema lo ritroviamo? esistono altri sottotemi? se sí, dove? 
Il sonetto è dedicato a Zacinto, isola greca del mar Ionio, patria del poeta. Tema fondamentale è proprio la nostalgia della patria perduta, espresso lungo le prime tre strofe attraverso dei riferimenti alla mitologia greca (Venere, Omero, Ulisse). Altri temi sono l’esilio e “l’Illacrimata sepoltura”. I primi argomenti sono classicisti, gli ultimi sono già Romantici.

3) Stile letterario: che tipo di testo è? se è un poema conta i versi, individuane la struttura e lo schema delle rime. C’è qualcosa di rilevante dal punto di vista fonetico (le lettere e i suoni), morfologico (parti del discorso), sintattico (analisi logica), metrico (rime baciate, enjambement, etc)?
Si tratta di un sonetto, cioè un poema composto da quattordici versi endecasillabi, divisi in due quartine e due terzine, con schema di rime ABAB ABAB CDE CED. 
Dal punto di vista fonetico si può notare la presenza della consonante “s”, sia nella sua versione sorda (sacre sponde, verso, diverso, prescrisse, sepoltura) che sonora (specchi, isole, esiglio, sventura, petrosa -nel nord Italia-). Questa consonante, anche detta “sibilante”, è onomatopeica e ci può ricordare il vento che soffia costantemente sulle isole del mar Mediterraneo. 
Dal punto di vista morfologico notiamo la presenza di dieci verbi in tutti e tre i tempi principali dell’indicativo: sette al passato -remoto- (giacque, nacque, fea -fece-, tacque, cantò, baciò, prescrisse), uno solo al presente (specchi), due al futuro (toccherò, avrai). Ciò può voler dire che il poeta racchiude tutte le sue speranze nel passato, in un passato mitico o mitizzato, entre l’infanzia e il sogno.  Evidente il pessimismo del poeta anche dall’uso della triplice negazione del primo verso (Né più mai). 
Dal punto di vista sintattico osserviamo che questo sonetto è un dialogo affettuoso e nostalgico tra il poeta -Io soggetto sottinteso - e la sua isola personificata -“Zacinto mia”, “o materna mia terra” complemento di vocazione-. 
Dal punto di vista metrico notiamo la presenza di molti enjambements che danno un effetto di “legato musicale” al poema. 

4) Valutazione: esprimi la tua opinione personale

A Zacinto è un poema molto conosciuto e amato. Anche in me ha suscitato pensieri profondi: la nostalgia per l’infanzia e per la casa al mare, il timore del futuro e di quello che rappresenta. Mi è piaciuto il riferimento alla mitologia greca, argomento che amo molto. Non mi è piaciuto molto il pessimismo del poeta, ma mi rendo conto che i suoi fossero tempi duri. Al contrario di Foscolo, infatti, io son fiducioso nel presente.

LB

Ugo Foscolo - Alla sera





Forse perché della fatal quïete
Tu sei l’immago a me sì cara, vieni,
O Sera! E quando ti corteggian liete   
Le nubi estive e i zeffiri sereni,

E quando dal nevoso aere inquiete
Tenebre, e lunghe, all’universo meni,
Sempre scendi invocata, e le secrete    
Vie del mio cor soavemente tieni.

Vagar mi fai co’ miei pensier su l’orme
Che vanno al nulla eterno; e intanto fugge    
Questo reo tempo, e van con lui le torme

Delle cure, onde meco egli si strugge;
E mentre io guardo la tua pace, dorme   
Quello spirto guerrier ch’entro mi rugge.


1) Localizzazione: inserisci qui da dove è tratto il testo; parla anche dell’autore e del movimento letterario nel quale è collocato (trovi tutto sull’antologia).
Alla sera è uno dei più importanti sonetti di Ugo Foscolo (1778-1827), composto probabilmente tra l’agosto 1802 e l’aprile 1803 e collocato dal Foscolo, poeta italo-greco a cavallo tra il classicismo e il preromanticismo, in apertura della raccolta delle sue Poesie nel 1803. Altra sua opera famosa è il romanzo epistolare Le ultime lettere di Jacopo Ortis.

2) Tema e struttura: qual è il tema principale? In che parti del poema lo ritroviamo? Esistono altri sottotemi? Se sí, dove? 
Il tema del sonetto è lo scontro dell’eroe con una realtà storica fortemente negativa che genera sradicamento, infelicità, inquietudine, e cui unica soluzione è la morte. Già l’Alfieri aveva parlato di “titanismo” come dell’atteggiamento di indifferenza e ribellione contro ciò che limita la libertà dell’uomo.
Il sonetto foscoliano è diviso nettamente in due parti, che corrispondono alle due quartine e alle due terzine. La prima parte descrive lo stato d’animo del poeta davanti alla sera, la seconda, invece, è più dinamica perché rappresenta i processi legati al cuore del componimento, da cui si sprigiona il movimento lirico: il nulla eterno. Intorno ad esso, la morte come annullamento totale delle sofferenze del poeta, si organizza una duplice opposizione dove il primo membro annulla il secondo: il “reo tempo” si scioglie nel “nulla eterno”, lo “spirto guerrier” “dorme” mentre il poeta guarda “la pace” della sera.

3) Stile letterario: che tipo di testo è? se è un poema conta i versi, individuane la struttura e lo schema delle rime. C’è qualcosa di rilevante dal punto di vista fonetico (le lettere e i suoni), morfologico (parti del discorso), sintattico (analisi logica), metrico (rime baciate, enjambement, etc)?
Si tratta di un sonetto, cioè un poema composto da quattordici versi endecasillabi, divisi in due quartine e due terzine, con schema di rime ABAB ABAB CDC DCD. 

Dal punto di vista fonetico si può notare la presenza delle vocali “chiare” A, E, I nelle quartine, a evidenziare la soavità della sera. Nelle terzine appaiono anche le vocali “scure” O/U. Le consonanti giocano un ruolo importante: il numero di L, che potremmo considerare “consonante d’acqua”, e di R, “consonante di fuoco”, è pressoché equivalente: il poeta è riuscita a rendere dal punto di vista fonetico la lotta interiore tra il dolore e la pace, la agitazione e la calma, la rabbia e l’abbandono.

Dal punto di vista morfologico, sintattico e metrico notiamo che il centro dell’opposizione è dato da due verbi “dorme” e “fugge”, evidenziati anche dalla collocazione a fine verso, e ancor di più dall’enjambement che li separa dal soggetto, che è posposto (fugge/questo reo tempo; dorme/quello spirto guerrier). È interessante notare l’alternanza degli aggettivi dimostrativi “questo”/“quello” simili a quelli usati da Leopardi ne L’Infinito.

Dal punto di vista sintattico osserviamo il prevalere della paratassi (E quando/ e quando/, e le secrete. E intanto fugge/, e van con lui/ e mentre io guardo) che ci permette una lettura appassionata ed emozionante, quasi non riuscissimo a contenere il respiro (cfr.il canto di Ulisse dell’Inferno di Dante).

Dal punto di vista metrico, oltre alla presenza degli enjambements che danno un effetto di “legato musicale” al poema, notiamo la presenza di lessico poetico speciale già usato dal Petrarca (vagare, pensieri, orme). Solo e pensoso i più deserti campi/vo mesurando a passi tardi e lenti,/ e gli occhi porto per fuggire intenti/ove vestigio human l’arena stampi. Foscolo, che studiava e ammirava il poeta toscano, il cui Canzoniere conosceva bene, riesce a riproporre in un diverso contesto lo stesso delicato sentire.


4) Valutazione: esprimi la tua opinione personale

Questo è forse il sonetto di Foscolo che più amo. Anch’io mi son sentita, a volte, così: arrabbiata e poi all’improvviso più calma, come se l’incendio fosse stato spento da una cascata d’acqua. Anch’io ho visto, dentro il mio cuore, l’agitazione e la calma, la passione e la pace, il rosso del fuoco e l’azzurro del mare. Però io, al contrario di Foscolo, non ho desiderato sparire nel nulla eterno, bensì fondermi nel mondo come gocce di pioggia, essere ovunque, essere parte di tutto e di niente. Forse il Romanticismo è ancora molto presente nella nostra cultura.

LB

Ugo Foscolo - In morte del fratello Giovanni

Non spero nulla
Non temo nulla
Sono libero

lapide di Nikos Kazantzakis, autore di Zorba il Greco, Creta

               
                Un dì, s’io non andrò sempre fuggendo
  di gente in gente, mi vedrai seduto
  su la tua pietra, o fratel mio, gemendo
il fior de’ tuoi gentili anni caduto:

La madre or sol, suo dì tardo traendo,
parla di me col tuo cenere muto:
ma io deluse a voi le palme tendo;
se da lunge i miei tetti saluto,

sento gli avversi Numi, e le secrete
cure che al viver tuo furon tempesta;
e prego anch’io nel tuo porto quiete:

Questo di tanta speme oggi mi resta!
Straniere genti, l’ossa mie rendete
allora al petto della madre mesta.



1) Localizzazione
Si tratta di uno dei sonetti “maggiori” del poeta Ugo Foscolo (1778-1827), scritto nel 1802 e aggiunto nel 1803 alla raccolta Poesie (che conteneva otto sonetti “minori” e l’ode A Luigia Pallavicini caduta da cavallo). Dalla personalità inquieta e ricca di contrasti, Foscolo fonde letteratura e vita diventando l’interprete più rappresentativo della travagliata età a cavallo di due secoli (XVIII-XIX), epoca di passaggio tra la civiltà dei lumi e quella romantica e tra Neoclassicismo e Preromanticismo. Oltre alla sua produzione poetica si ricorda il romanzo epistolare Le ultime lettere di Jacopo Ortis.

2) Tema e struttura
Il sonetto è costruito sull’opposizione di due motivi fondamentali: da un lato, l’esilio, dall’altro, la tomba. Il tema dell’esilio non ha soltanto un significato letterale, ma indica anche lo sradicamento e la precarietà che è storica e esistenziale assieme. Foscolo costruisce, così, il proprio mito romantico dell’eroe sventurato a cui il momento storico negativo non consente di avere una patria, un ruolo sociale o una famiglia che lo conforti. Nella prima terzina entrano in gioco, nuovamente, gli “avversi Numi” che perseguitano l’eroe. 
In opposizione a questo tema si situa quello della tomba, identificato con la madre, che è anche, nella sua condizione di poeta esule, la terra natale. Ma il ritorno, diversamente dalla storia narrata nell’Odissea, è impossibile: parafrasando Dante, più che l’amor poté l’esilio.
La struttura di questo sonetto, così ricco di significato, è circolare: nelle prime tre strofe si alternano i temi dell’esilio, della tomba del fratello, della madre e, nuovamente, dell’esilio. Ecco perché il ricongiungimento familiare è impossibile: perché lo annulla l’esilio. Per sbloccare la situazione del sonetto alla terza strofa entra in gioco la morte che non è qui, come in Alla sera, illacrimata, ma che vedrà un futuro ricongiungimento della famiglia. In questo sonetto, così denso e legato, la morte è un’immagine positiva, un’illusione di sopravvivenza e una mitica identificazione con la madre, con la terra, con il suo vero Io.

3) Stile letterario
Si tratta di un sonetto, cioè un poema composto da quattordici versi endecasillabi, divisi in due quartine e due terzine, con schema di rime ABAB ABAB CDC DCD. 
Dal punto di vista fonetico si può notare la presenza di molte consonanti “S”,  nella loro versione sonora (S’io, sempre, seduto, su, sol, suo, deluse, se, sento, secrete, tempesta, questo, speme, resta, straniere, l’ossa, mesta) - è una consonante sfuggevole e musicale, che ricorda il sibilare del serpente, il sussurro di una voce da lontano, e simboleggia, a parer mio, il viaggio del ricordo e del pensiero del poeta, dall’esilio fino alla tomba del fratello.

Dal punto di vista morfologico notiamo che, su 15 verbi, 10 sono all’indicativo, che è il modo della realtà: due al futuro (andrò, vedrai), sette al presente (parla, tendo, saluto, sento, prego, resta, rendete), solo uno passato (furon); ciò significa che si tratta di un poema quasi interamente focalizzato sul momento presente. I restanti cinque verbi sono nei modi indefiniti, tre al gerundio (fuggendo, gemendo, traendo) e due al participio (seduto, caduto).

Dal punto di vista sintattico, come siamo soliti nel Foscolo, gli enjambements spezzano la struttura della frase a favore della musicalità e del legato nel verso.

Dal punto di vista metrico il testo è ricco di metafore e metonimie


4) Valutazione
Dolce e bellissima poesia che abbraccia in quattordici versi i grandi temi della letteratura foscoliana, A Zacinto rimane per sempre nella memoria dei lettori di ogni tempo come i colori dell’isola che diede i natali al poeta. Imbevuto di nostalgia dolce come il miele di Grecia e amara come l’esilio, Foscolo tiene nelle sue mani entrambe le colonne della cultura europea sua contemporanea: la classicità e il Romanticismo.

LB

Romanticismo

Friedrich - Viandante sul mare di nebbia - 1818

Caratteristiche generali
Il Romanticismo è un movimento culturale complesso. Benché si affermi in Europa intorno al 1830, in realtà era nato molto prima.
Molto spesso, le caratteristiche del Romanticismo sono in contrasto con quelle dell’Illuminismo (razionalità) e del Neoclassicismo (culto della bellezza classica). Ad esempio, mentre l’Illuminismo dà importanza alla ragione umana, il Romanticismo da più importanza ai sentimenti e alla passione. Insomma, il Romanticismo fa scelte di cuore mentre l’Illuminismo le fa ragionando molto e pensando alle conseguenze. Gli Illuministi sono atei, invece il Romanticismo è un movimento molto religioso. Il Neoclassicismo aveva come riferimento la storia classica; il Romanticismo, invece, pensava che l’epoca più bella fosse quella medievale, rivalutando questo periodo che, fino ad allora, era stato considerato buio e pieno di guerre. Infine, il Romanticismo per comporre qualsiasi opera artistica doveva essere inspirato de qualcosa che molto spesso era la natura, mentre il Neoclassicismo utilizzava un metodo o canone. Il Romanticismo, poi, si differenzia via via per ogni stato in cui si diffonde con regole diverse. 

I contenuti della poesia romantica sono sintetizzabili in quattro grandi categorie:
1. L’armonia dell’uomo nella natura
2. Il sentimento della religione
3. Il nazionalismo
4. Il riferimento al medioevo.

Le nuove categorie estetiche: il sublime
La principale caratteristica delle opere neoclassiciste era ‘il bello’, cioè qualcosa che deve ispirare sensazioni piacevoli, gradevoli. Invece il Romanticismo esaltava ‘il sublime’: in poche parole il giorno è il bello e la notte il sublime. Il sublime deriva dal conflitto tra sentimento e ragione.

La rivalutazione dei sentimenti e delle passioni
Uno dei tratti più caratteristici del Romanticismo è la rivalutazione del lato passionale ed istintivo dell’uomo. Questo porta a ricercare le parti più buie e tenebrose, il mistero, le sensazioni forti, la paura. L’artista romantico ha un animo super sensibile, sempre pronto a continui cambiamenti anche non felici. L’artista cerca di comportarsi sempre più in modo particolare: è disperato per pene d’amore o per patriottismo, per questo molto pessimista e drammatico.

Il Romanticismo italiano
Il Romanticismo italiano è un fenomeno che ha tratti caratteristici diversi da quello europeo. È da premettere che, in Italia, il Romanticismo coincide con il  Risorgimento, epoca storica in cui si realizzò l’unità d’Italia. L’arte che più si affermò nel Romanticismo italiano fu soprattutto la letteratura, grazie ad Alessandro Manzoni e al suo romanzo I promessi sposi. Un altro autore importante fu Giacomo Leopardi che, però, grazie alla sua estrema sensibilità e cultura, non si può definire del tutto Romantico.

Luca Altobelli

Giacomo Leopardi



Giacomo Leopardi nacque a Recanati (Marche) nel 1798 da una famiglia nobile ma non ricca. Crebbe in un ambiente chiuso, oppresso dall’indifferenza del padre e dalla severità della madre. Tra i 10 e i 17 anni si interessa alla lettura e da autodidatta impara greco, latino e alcune lingue moderne nella biblioteca del padre. Questo studio “matto e disperatissimo” gli rovinò per sempre la salute causandogli una deformazione al corpo e problemi alla vista e al sistema nervoso. Tormentato da una crisi interiore e stanco di stare a Recanati, nel 1822 ottenne il permesso di recarsi a Roma; ma questo viaggio aumentò solo il suo pessimismo. Deluso e amareggiato tornò a Recanati. Ancora una volta decise di trasferirsi a Milano, poi Bologna e Firenze, ma nel paese natale tornò sempre. Intanto le sue condizioni di salute peggiorarono e una grande delusione d’amore prostrò del tutto il suo animo. Nel 1833 si trasferì a Napoli dove trascorse i suoi ultimi anni di vita, assistito dall’amico Antonio Ranieri. Morì nel 1837. 

La sua vita artistica viene divisa in 4 periodi leopardiani:

     1)  Dall’erudizione al bello (1815-1816) 
Leopardi abbandona gli studi filologici e legge i grandi poeti come Omero (Iliade e Odissea), Virgilio (Eneide), Dante (Divina Commedia).
2) Dal bello al vero (pessimismo storico): Leopardi tenta di fuggire da Recanati ma il padre glielo impedisce. Nel frattempo i suoi occhi peggiorano, lui diventa quasi cieco e si deprime in casa. 
In questo periodo elabora la teoria de “la nullità di tutte le cose” cioè pensa che la vita sia inutile. Comincia a scrivere L’Infinito e lo Zibaldone (diario). 
3) L’acerbo vero (pessimismo cosmico): Leopardi afferma che passato, presente e futuro sono tutti fatti di male e la colpa è della Natura. In questo periodo scrive i Grandi Idilli: A Silvia, La quiete dopo la tempesta, Il sabato del villaggio.
4) “Ciclo di Aspasia” (pessimismo eroico): Leopardi è a Napoli, in seguito all’eruzione del Vesuvio va a vedere e trova ancora viva una ginestra che è sopravvissuta alla lava. Scrive La ginestra.

I TRE PESSIMISMI
  • Pessimismo storico: quando si è piccoli non si hanno problemi, ma man mano che si cresce si diventa più pessimisti. Il pessimismo peggiora col tempo.
  • Pessimismo cosmico:             
      -l’uomo è sempre infelice. 
      -La natura è nemica e l’uomo è la sua vittima. 
      -Solo la ragione può salvare l’uomo.

  • Pessimismo eroico: la Natura è fatta di male, ma noi ci possiamo opporre eroicamente.

Laura Marchini

Giacomo Leopardi - L'infinito




Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Così tra questa
Immensità s'annega il pensier mio:
E il naufragar m'è dolce in questo mare. 


1) Localizzazione 
L’Infinito di Giacomo Leopardi è stato tratto dalla raccolta degli Idilli, scritto nel periodo leopardiano del pessimismo storico agli inizi dell’Ottocento. Fa parte del movimento culturale del Romanticismo. 

2) Tema e struttura 
Da quello che dice la poesia, Leopardi la scrisse su una collina isolata, davanti ad una siepe che ostruiva la maggior parte dell’orizzonte. Dietro questa siepe, Leopardi immagina cosa ci possa essere: immagina spazi infiniti, sovrumani silenzi e calma assoluta e in mezzo a questi pensieri il suo cuore si perde. Inizia a confrontare il silenzio che immagina al rumore del vento che sente e comincia a pensare alle stagioni passate e a quelle presenti e ai loro suoni. Alla fine della poesia, Leopardi afferma che gli piace perdersi in questi pensieri. 

3) Stile letterario
Si tratta di un poema composto da 15 versi endecasillabi. Lo schema delle rime è libero. Nel poema troviamo diversi enjambement (v 2-3; v 4-5; v 7-8; v 8-9; 9-10; v 12-13; v 13-14) che, secondo me, servono a sottolineare meglio i temi principali del testo come gli ‘interminati spazi’ e i ‘sovrumani silenzi’. Possiamo notare la presenza continua della consonante ‘s’ per trasmetterci il silenzio dell’infinito contrapposto al rumore del vento che sibila sulla collina. Al quarto verso troviamo due verbi al tempo gerundio (sedendo e mirando) per dare l’impressione che l’azione stia avvenendo in quel preciso momento. Troviamo svariate volte aggettivi dimostrativi come ‘questo’ e ‘quello’ che servono a comparare l’infinito silenzio al rumore del vento.  Nel componimento si ripete due volte lo schema “sensazione, fantasia, sentimento”. Nella prima parte incontriamo una sensazione visiva (sguardo impedito dalla siepe), la fantasia (immaginazione di mondi sterminati e silenziosi), il sentimento ("ove per poco il cor non si spaura"). Nella seconda parte troviamo una sensazione uditiva (vento che stormisce tra le piante), la fantasia (eternità, trascorrere del tempo), il sentimento ("e il naufragar m'è dolce in questo mare").


4) Valutazione
Questa poesia mi è piaciuta perché compara l’infinito silenzio a un rumore concreto del vento. Mi ha fatto pensare al fatto che noi possiamo immaginare delle cose e perderci nei nostri pensieri, ma qualcosa ci fa sempre tornare alla realtà e al fatto che da questa non si può scappare. Sarebbe bello avere un mondo tutto per sé e poter fare tutto quello che si vuole immaginando e fantasticando sulla nostra vita, ma questo purtroppo non è possibile. Mi ha fatto ricordare a quando vado in montagna e passeggio da sola nel bosco, ascoltando ogni singolo rumore, da quello dei miei passi, a quello degli uccelli che cantano, al fruscio delle foglie degli alberi che cadono sul terreno. Il concetto di infinito lo paragono all’immaginazione, qualcosa di astratto che non si può percepire con i cinque sensi, ma si può solo sognare.

Laura Marchini

Giacomo Leopardi - A Silvia

Vermeer - La merlettaia - 1670


Silvia, rimembri ancora
quel tempo della tua vita mortale,
quando beltà splendea
negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
e tu, lieta e pensosa, il limitare
di gioventù salivi? 
Sonavan le quiete
stanze, e le vie d'intorno,
al tuo perpetuo canto,
allor che all'opre femminili intenta
sedevi, assai contenta
di quel vago avvenir che in mente avevi.
Era il maggio odoroso: e tu solevi
così menare il giorno. 
Io gli studi leggiadri
talor lasciando e le sudate carte,
ove il tempo mio primo
e di me si spendea la miglior parte,
d’in su i veroni del paterno ostello
porgea gli orecchi al suon della tua voce,
ed alla man veloce
che percorrea la faticosa tela.
Mirava il ciel sereno,
le vie dorate e gli orti,
e quinci il mar da lungi, e quindi il monte.
Lingua mortal non dice
quel ch’io sentiva in seno. 
Che pensieri soavi,
che speranze, che cori, o Silvia mia!
Quale allor ci apparia
la vita umana e il fato!
Quando sovviemmi di cotanta speme,
un affetto mi preme
acerbo e sconsolato,
e tornami a doler di mia sventura.
O natura, o natura,
perché non rendi poi
quel che prometti allor? perché di tanto
inganni i figli tuoi? 
Tu pria che l’erbe inaridisse il verno,
da chiuso morbo combattuta e vinta,
perivi, o tenerella. E non vedevi
il fior degli anni tuoi;
non ti molceva il core
la dolce lode or delle negre chiome,
or degli sguardi innamorati e schivi;
né teco le compagne ai dì festivi
ragionavan d’amore. 
Anche perìa fra poco
la speranza mia dolce: agli anni miei
anche negaro i fati
la giovinezza. Ahi come,
come passata sei,
cara compagna dell’età mia nova,
mia lacrimata speme!
Questo è il mondo? questi
i diletti, l’amor, l’opre, gli eventi,
onde cotanto ragionammo insieme?
questa la sorte delle umane genti?
All’apparir del vero
tu, misera, cadesti: e con la mano
la fredda morte ed una tomba ignuda
mostravi di lontano. 

1) Localizzazione
A Silvia è stata scritta da Giacomo Leopardi tra il 19 e il 20 aprile del 1928. La versione definitiva è stata scritta poi completata il 29 settembre dello stesso anno.
2) Tema e struttura
La poesia A Silvia (il nome Silvia è uno pseudonimo) è dedicata a Teresa Fattorini, figlia del cocchiere della famiglia di Leopardi, la quale morì di tisi a 21 anni. Teresa è una ragazza che il poeta ha sicuramente conosciuto, come ci dice in questi versi, ma il destino ha spezzato la sua felicità terrena.
Dietro a quest’opera non c’è una storia d’amore, infatti Teresa e Leopardi condivideranno solo condizioni simili: giovinezza, illusioni, speranze ecc. ecc..
Il poeta scrive all’interno della poesia il contrasto tra i sogni della giovinezza dell’età adulta e della crudeltà della Natura.
Il simbolo della poesia è proprio Silvia (Teresa) che non ha gustato le gioie della vita.
Nel componimento si evidenziano naturalmente gli ideali poetici di Leopardi quali il pessimismo che caratterizza la maggior parte delle sue opere o la scelta della poesia come motivo di sfogo personale.

3) Lo stile letterario
La lirica è di 6 strofe di varia lunghezza.
Settenari ed endecasillabi si succedono secondo le esigenze dell’ispirazione e la rima non ha uno schema prestabilito.
L’unico elemento di regolarità è dato dal ripetersi del settenario alla fine di ogni strofa.
Nel settimo verso un enjambement (le quiete stanze) e anche nel decimo (intenta sedevi).
Nel sedicesimo verso c’è una metonimia (le sudate carte): le carte, cioè gli studi, che costano fatica e sudore.
Nel ventiduesimo verso c’è un’altra metonimia (la faticosa tela). La tela,in altre parole si riferisce al lavoro al telaio che è frutto d’assiduo lavoro e quindi faticoso.

Nella prima strofa Leopardi introduce l’immagine di Silvia ancora in vita, con i suoi occhi pieni di gioia e il suo sguardo sfuggente di ragazza timida che, per pudore, non fissa a lungo le persone. 
Nella seconda e terza strofa viene rievocata la giovinezza di Silvia e di Leopardi, la prima che tesseva con la sua mano veloce immaginando un futuro felice, il secondo che studiava sui libri di e consumava la sua giovinezza e la parte migliore di se, ma era ancora ricco di sogni e illusioni. 
Nella quarta strofa il poeta esprime la sua delusione e la sua rabbia il poeta esprime la sua delusione e la sua rabbia interiore per la morte precoce di Silvia, rivolgendosi alla Natura come a una madre che inganna e tradisce i suoi figli.
Nella quinta strofa Leopardi pensa a com’era Silvia prima della scomparsa nel fior degli anni, con i suoi capelli neri e i suoi sguardi.
Nella sesta strofa l’autore si rivolge alla speranza, rappresentandola come una donna che indica la morte e la tomba

4) Commento
A Silvia è una delle poesie che mi sono piaciute di più. I ricordi sono affrontati con nostalgia e sofferenza. Silvia, quando inizia a conoscere le bellezze della vita e come ogni adolescente è piena di fiducia, muore.

La morte prematura di Silvia per il poeta Giacomo Leopardi rappresenta l’amara verità della vita che pone fine ad ogni cosa, togliendo alla ragazza la speranza di conoscere il suo futuro e di sentirsi amata e a lui la spensieratezza e la felicità.

Alessandro Pavia

lunedì 8 giugno 2015

Giacomo Leopardi - Il passero solitario



D'in su la vetta della torre antica,
Passero solitario, alla campagna
Cantando vai finchè non more il giorno;
Ed erra l'armonia per questa valle.
Primavera dintorno
Brilla nell'aria, e per li campi esulta,
Sì ch'a mirarla intenerisce il core.
Odi greggi belar, muggire armenti;
Gli altri augelli contenti, a gara insieme
Per lo libero ciel fan mille giri,
Pur festeggiando il lor tempo migliore:
Tu pensoso in disparte il tutto miri;
Non compagni, non voli,
Non ti cal d'allegria, schivi gli spassi;
Canti, e così trapassi
Dell'anno e di tua vita il più bel fiore.

Oimè, quanto somiglia
Al tuo costume il mio! Sollazzo e riso,
Della novella età dolce famiglia,
E te german di giovinezza, amore,
Sospiro acerbo de' provetti giorni,
Non curo, io non so come; anzi da loro
Quasi fuggo lontano;
Quasi romito, e strano
Al mio loco natio,
Passo del viver mio la primavera.
Questo giorno ch'omai cede la sera,
Festeggiar si costuma al nostro borgo.
Odi per lo sereno un suon di squilla,
Odi spesso un tonar di ferree canne,
Che rimbomba lontan di villa in villa.
Tutta vestita a festa
La gioventù del loco
Lascia le case, e per le vie si spande;
E mira ed è mirata, e in cor s'allegra
. Io solitario in questa
Rimota parte alla campagna uscendo,
Ogni diletto e gioco
Indugio in altro tempo: e intanto il guardo
Steso nell'aria aprica
Mi fere il Sol che tra lontani monti,
Dopo il giorno sereno,
Cadendo si dilegua, e par che dica
Che la beata gioventù vien meno.

Tu solingo augellin, venuto a sera
Del viver che daranno a te le stelle,
Certo del tuo costume
Non ti dorrai; che di natura è frutto
Ogni nostra vaghezza
A me, se di vecchiezza
La detestata soglia
Evitar non impetro,
Quando muti questi occhi all'altrui core,
E lor fia voto il mondo, e il dì futuro
Del dì presente più noioso e tetro,
Che parrà di tal voglia?
Che di quest'anni miei? Che di me stesso?
Ahi pentiromi, e spesso,
Ma sconsolato, volgerommi indietro.


Jasmine Russo

Giacomo Leopardi - La sera del dì di festa




Dolce e chiara è la notte e senza vento,
E queta sovra i tetti e in mezzo agli orti
Posa la luna, e di lontan rivela
Serena ogni montagna. O donna mia,
Già tace ogni sentiero, e pei balconi
Rara traluce la notturna lampa:
Tu dormi, che t'accolse agevol sonno
Nelle tue chete stanze; e non ti morde
Cura nessuna; e già non sai nè pensi
Quanta piaga m'apristi in mezzo al petto.
Tu dormi: io questo ciel, che sì benigno
Appare in vista, a salutar m'affaccio,
E l'antica natura onnipossente,
Che mi fece all'affanno. A te la speme
Nego, mi disse, anche la speme; e d'altro
Non brillin gli occhi tuoi se non di pianto.
Questo dì fu solenne: or da' trastulli
Prendi riposo; e forse ti rimembra
In sogno a quanti oggi piacesti, e quanti
Piacquero a te: non io, non già, ch'io speri,
Al pensier ti ricorro. Intanto io chieggo
Quanto a viver mi resti, e qui per terra
Mi getto, e grido, e fremo. Oh giorni orrendi
In così verde etate! Ahi, per la via
Odo non lunge il solitario canto
Dell'artigian, che riede a tarda notte,
Dopo i sollazzi, al suo povero ostello;
E fieramente mi si stringe il core,
A pensar come tutto al mondo passa,
E quasi orma non lascia. Ecco è fuggito
Il dì festivo, ed al festivo il giorno
Volgar succede, e se ne porta il tempo
Ogni umano accidente. Or dov'è il suono
Di que' popoli antichi? or dov'è il grido
De' nostri avi famosi, e il grande impero
Di quella Roma, e l'armi, e il fragorio
Che n'andò per la terra e l'oceano?
Tutto è pace e silenzio, e tutto posa
Il mondo, e più di lor non si ragiona.
Nella mia prima età, quando s'aspetta
Bramosamente il dì festivo, or poscia
Ch'egli era spento, io doloroso, in veglia,
Premea le piume; ed alla tarda notte
Un canto che s'udia per li sentieri
Lontanando morire a poco a poco,
Già similmente mi stringeva il core. 


Saverio La Ruina

Alessandro Manzoni - I promessi sposi



Le cinque chiavi di lettura dei Promessi Sposi


Gabriele Brunello

Verismo




Verso la metà del 1800 in Italia ci furono rapidi cambiamenti politici e un veloce sviluppo tecnologico. Si formarono nuovi movimenti letterari. 
Nell’Italia settentrionale tra il 1860 e il 1880 si formò il movimento degli Scapigliati. Era un movimento letterario che si distingueva dagli altri. Esprimevano il disprezzo verso la società e la cultura borghese e nelle proprie opere descrivevano la cruda realtà. 
Il Verismo italiano, invece,  deriva dal Naturalismo francese. Il Naturalismo si sviluppa in Francia intorno al 1870 e considera il romanzo un modo per descrivere la realtà in modo scientifico. Il più grande esponente del Naturalismo francese è Emil Zola il quale descrive nei suoi romanzi le terribili condizioni di vita degli operai parigini. 
Emil Zola ispira Giovanni Verga (1840-1922), maggiore esponente del Verismo italiano. Lo scopo del Verismo è rappresentare la realtà in modo crudo e descrivendo in modo autentico i fatti. L’ autore non si impersonifica mai nel racconto e non influisce nel corso della storia, ma narra i fatti come se li stesse vivendo insieme ai personaggi. 

Daniele Vassallo

Giovanni Verga - La roba





Un contadino siciliano di nome Mazzarò, dopo aver lavorato duramente, riuscì grazie ad accumulare una grande ricchezza: fattorie, magazzini, uliveti e vigne.

Era famoso, oltre che per la sua ricchezza, per la sua avidità: infatti, nonostante fosse ricchissimo, mangiava poco, non fumava, non beveva vino.

Mazzarò era così attaccato alla sua roba, perché si ricordava quando, negli anni passati, doveva lavorare duramente. 

L’unico suo problema era quello di non avere nulla oltre alla sua roba, nessun affetto e, ora che era vecchio, il solo pensiero di dover abbandonare le sue terre lo faceva diventare matto, talmente matto da uccidere le sue bestie a colpi di bastone strillando:” Roba mia vientene con me”.

Vincenzo d'Aquino